Siamo con Tommaso Franco, Area Comunicazione e Ufficio Stampa dell’Associazione Italiana Calciatori. Seguiamo le attività dell’A.I.C. e gli abbiamo chiesto, quindi, quest’intervista per parlarci del proprio lavoro e della sua visione sulle evoluzioni della Sport Industry, soprattutto in funzione delle esigenze del Sistema Calcio, in rapporto alla sua riorganizzazione ed alla digitalizzazione degli stadi e delle strutture sportive. Ma, anche, in funzione delle nuove strategie delle società sportive, sempre più media company, con l’obiettivo del fan engagement per creare opportunità di pubblicità, sponsorizzazione e monetizzazione.
Salve Tommaso, prima di tutto grazie per aver accettato di rilasciarci questa intervista. Nello scenario attuale, che evidenzia lo SportTech come nuova tendenza, nasce Sport Thinking, il Brand Magazine di IQUII Sport che ha l’obiettivo di rappresentare, attraverso una nuova vision, un punto di osservazione ed approfondimento sull’innovazione in ambito Sport Business, sul cambiamento in atto e sulle nuove dinamiche del settore. Lei è un professionista della comunicazione e dell’informazione, qual è stato il suo percorso personale?
“Dopo la laurea il mio percorso all’interno di questo mondo è iniziato con il ChievoVerona. Un’esperienza assolutamente importante per la mia crescita professionale, che mi ha messo nelle condizioni di studiare da vicino la comunicazione all’interno di un ambiente in repentina e costante evoluzione. I calciatori, oggi, sono sempre più ‘aziende’ a sé stanti, inseriti all’interno di una complessa rete di relazioni ‘digitali’. Come AIC, seguiamo tutta la comunicazione che ruota attorno al calcio, con particolare attenzione ai protagonisti che scendono in campo. Facciamo formazione, teniamo corsi per dare qualche elemento in più, teorico e pratico, per sfruttare l’immenso potenziale di cui possono disporre oggi i protagonisti di questo sport.”
Come si sviluppa il suo lavoro, all’interno dell’Associazione Italiana Calciatori? Quali sono le principali attività di cui si occupa e che coordina? Come si evolve il modello di informazione di una realtà come la vostra, e il modo in cui lei esercita la sua professione, in rapporto al digitale, ai new media ed ai nuovi strumenti di comunicazione? Come cambia il lavoro di un ufficio stampa?
“La domanda è molto articolata. Il nostro ufficio stampa è, in primis, un bollettino ‘sindacale’ per i nostri associati che, tramite AIC, devono essere sempre al corrente di ciò che accade anche lontano dai campi. È con loro che sviluppiamo un rapporto fitto a livello di scambio di informazioni, in diverse modalità. Siamo coscienti del fatto che la comunicazione, soprattutto se rivolta a soggetti giovani e assolutamente inseriti nel mondo ‘social’, deve essere veloce, parlare con le immagini ed essere di fruizione immediata. Il modello di informazione si adatta ai tempi, intesi come velocità di assimilazione del messaggio. Sappiamo che abbiamo poco tempo per comunicare, per questo occorre farlo nella maniera più veloce ed efficace possibile. Il lavoro di un ufficio stampa oggi è assai diverso da quello di 10 anni fa. Oltre al ruolo di mediazione tra l’ente, la società, il calciatore e la stampa, un’area comunicazione deve realizzare contenuti. La tecnologia oggi permette di essere pressoché autosufficienti per lavorare senza coinvolgere terze parti e questo è un grande vantaggio in termini di immediatezza. Lo spot su Instagram può generare decine di migliaia di visualizzazioni, a costo zero. Trovo che i nuovi device e i social, se ben utilizzati, possano considerarsi uno strumento che premia chi ha idee sui contenuti.“
Lei si occupa di contenuti, anche per i social, che giocano un ruolo sempre più importante e rappresentano degli asset strategici fondamentali per qualsiasi azienda, abilitando la disintermediazione. Organi di informazione, società sportive, leghe, federazioni, gli stessi atleti: tutti media, tutti in competizione per vincere l’attenzione e il tempo delle persone, con l’obiettivo di arrivare ai loro dati, con iniziative sempre più profilate, per generare nuove opportunità di advertising e sponsorizzazione da monetizzare. Cosa ne pensa? Quali sono, in tal senso, le strategie di una realtà tanto importante come quella per la quale lavora?
“Lei dice bene. La battaglia è sul tempo, un bene sempre più prezioso che abbiamo il dovere di utilizzare al meglio. Proporre un contenuto in rete significa dedicare del tempo per elaborarlo e significa anche farsi donare del tempo da chi ci segue. La promozione di un brand tramite i social è, chiaramente, talmente diffusa da non poter generare alcuna curiosità statistica: nell’ambiente del calcio la totalità delle squadre ‘pro’ promuove le proprie attività nel modo che ritiene più efficace. È difficile essere originali e spesso si esce dal seminato. AIC non ha, al contrario di altri enti, necessità di incrementare follower o far schizzare il numero delle visualizzazioni di un contenuto. Quello che a noi interessa è rendere visibile il nostro punto di vista all’interno del sistema calcio: prima di tutto ai nostri associati e, in un secondo momento, anche a tifosi ed appassionati.”
Brand Journalism e Brand Entertainment. Le aziende, come abbiamo detto, in primis quelle sportive, si stanno trasformando in vere e proprie media company, per generare contenuti da diffondere sfruttando le nuove tecnologie, organizzandosi e strutturandosi come delle redazioni. Fabio Guadagnini al Milan, l’Inter con la Media House, sono esempi italiani di un nuovo modo di fare comunicazione, strutturato sulle dinamiche dell’informazione, sfruttando i nuovi strumenti (social media, soprattutto) e le nuove tecnologie (Virtual Reality, Mixed Reality, tra le altre), per diffondere contenuti in format di vario tipo, per intrattenere e intercettare i propri target e creare nuove e sempre più immersive Brand Experience. Qual è il suo parere, in tal senso? In che direzione si sta andando, a suo modo di vedere? Quanto è importante, per le aziende sportive, la visione che può portare un profilo con grandi competenze giornalistiche?
“Purtroppo non sempre accade che le aziende sportive si rendano conto di quanto sia importante e cosa significhi investire sulla comunicazione della società. In termini di brand, di visibilità, di percezione di un marchio da parte dell’utente/tifoso. Troppo spesso si crede che per avvicinare il pubblico ad un squadra sia sufficiente investire dal punto di vista squisitamente tecnico, sottovalutando il rapporto con i tifosi che si crea, al giorno d’oggi, quasi esclusivamente grazie ai nuovi media. L’interazione è l’ingrediente fondamentale per la fidelizzazione di un utente. Il punto fondamentale è sempre lo stesso: il valore del contenuto. Quello deve essere l’obiettivo di chi lavora con i media: produrre o pensare ad un contenuto di qualità che comunichi qualcosa di nuovo e che possa avvicinare l’utente al mondo che si vuole far conoscere, sempre coscienti del fatto che si richiede del tempo a chi ci ‘guarda’ o ascolta.”
Il fan al centro di tutto, abbiamo detto. E le strutture, in tal senso, hanno grande rilevanza. L’Italia sembra essere indietro, rispetto ad altri paesi, relativamente alla realizzazione di stadi ed impianti sportivi che migliorino la fan experience e, di conseguenza, che rappresentino il primo passo per favorire il fan engagement e l’acquisizione di dati da monetizzare, puntando sui nuovi asset digitali. Nuove fonti di fatturato indispensabili per aumentare la competitività, sia al livello dei club che delle nazionali. Sport Tech, Arena Digitale, Realtà Virtuale, sono solo alcuni dei temi più attuali. Quanto è importante adeguare le strutture? Come si lavora per ‘accontentare’ il Fan 4.0? Come crede il movimento calcistico italiano debba riorganizzarsi, a livello manageriale ed operativo, dopo la mancata qualificazione ai prossimi Mondiali? Quali dovrebbero essere i punti principali da affrontare, a suo parere, nell’agenda del nostro movimento calcistico?
“Rispondo con una domanda: cosa sarebbe accaduto se ci fossimo qualificati al fotofinish contro la Svezia?
La mancata qualificazione ai Mondiali rappresenta un ‘danno’ d’immagine per l’intero movimento ma anche una grande occasione per ripartire. Non siamo un paese all’avanguardia, nemmeno calcisticamente. Le strutture sono certamente un punto di primaria importanza ma richiedono alle società investimenti onerosi e progetti anche a medio-lungo termine che non siamo, come sistema, in grado di sostenere. Per una società, in Italia, una retrocessione può costare il fallimento. Programmare diventa difficile, in un ambiente così ostile. Credo sia importante ripartire da chi il calcio lo vive e lo conosce bene, investire sui settori giovanili, sulle figure che devono formare i ragazzi che un giorno, forse, saranno calciatori.
Il progetto di rinascita deve essere considerato un lento processo di crescita a prescindere dai risultati del campo.”
Ringraziamo Tommaso Franco per il suo prezioso contributo. Continueremo a seguirlo sui social network e sui canali ufficiali dell’A.I.C.
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